domenica 17 settembre 2017

Rosso Zafferano: la ricetta giusta per vincere le prossime elezioni

Dichiaro subito che il titolo è ironico. Non so quale sia la ricetta che consenta di vincere le prossime elezioni. Però vorrei provare ad elencare alcuni dei criteri sulla base dei quali si potrebbero definire le possibilità di vittoria elle elezioni politiche che si terranno il prossimo anno.

"Noi" chi siamo e che cosa vuol dire "vincere" le elezioni?

Innanzitutto occorre definire chi siamo "noi" e che cosa significhi per "noi" vincere le prossime elezioni. A partire dalle "offerte" politiche esistenti possiamo scartare le opzioni più lontane. Non siamo quelli che sostengono la destra, sia che essa si presenti nella versione berlusconiana che in quella leghista o fascista soft (Meloni). Non siamo quelli che sostengono il populismo grillino, sia nella versione del Vaffa che in quella in doppiopetto alla Di Maio. Non siamo nemmeno quelli che sostengono il PD in generale ed il PD di Renzi in particolare: partito liberista sul piano economico, conseguentemente padronale sul piano degli interessi di classe.

Ma ci sono anche altre distinzioni che definiscono quello che "noi" non siamo e non vogliamo. Non siamo anarchici, neo-bordighisti o neo-otzovisti*, quindi pensiamo che partecipare alle elezioni e vincerle sia importante anche se riteniamo che questo sia solo una parte dell'azione politica, che ha bisogno di un robusto contrappeso extra-istituzionale e di aggancio ai movimenti sociali vecchi e nuovi.

Non siamo nemmeno tra coloro che pensano che si debba o si possa usare puramente e semplicemente le risorse simboliche del passato come se niente fosse accaduto. E nell'accaduto non c'è solo la conseguenza di una sconfitta politica e culturale di grandi dimensioni,  ma anche la consapevolezza che alcune delle strategie e dei riferimenti di valore che erano collegati a quei simboli erano sbagliate.

E poi non siamo quelli che pensano di doversi porre l'obbiettivo della ricostruzione del centro-sinistra. Innanzitutto non pensiamo che una prospettiva social-liberale, che sia più spostata sul versante centrista o più spostata su quello socialdemocratico, sia la soluzione alle contraddizioni e ai conflitti di una società capitalistica, egemonizzata da un trentennio di liberismo come quella italiana o europea. In secondo luogo non pensiamo che, almeno per l'oggi e per un tempo ragionevole che non sarà breve, il PD possa essere un alleato per una politica di alternativa, anche moderata, al liberismo. In ogni caso lo potrebbe essere solo a condizione di un mutamento sostanziale e strutturale dei rapporti di forza tra il PD e la sinistra alternativa.

Quindi abbiamo definito che questo "noi" non include Pisapia il cui obbiettivo è aiutare il PD a vincere le prossime elezioni offrendosi come alleato subalterno. E' subalterno nei fatti perché ha un progetto strategico che non si può realizzare senza l'alleanza col PD ed escludendo la sua sconfitta (e quindi dipendente dalle sue scelte). 

Il secondo problema è capire che cosa significhi per "noi" vincere le prossime elezioni. Escluderei ragionevolmente che si possa conquistare il governo nel 2018. Credo che si debba tenere ferma l'idea che "noi" vogliamo andare al governo e che la "nostra" prospettiva non è quella dell'eterna opposizione o della testimonianza. "Noi" non ci accontentiamo di svolgere la funzione, per altro non disprezzabile, di "tribuni del popolo" nelle istituzioni (secondo la formula usata da un politologo francese a proposito del PCF negli anni più fasti). Anche per l'evidente regione che quelle stesse istituzioni sono state in buona parte svuotate della possibilità di ottenere risultati positivi anche parziali.

"Noi" vogliamo diventare il governo del paese, ma per questo occorre creare le condizioni elettorali, politiche, sociali, culturali perché si possa realizzare, dal Governo, almeno parte del nostro programma. Questo non avverrà nel 2018 ma richiederà un orizzonte temporale più lungo. Non infinito però perché abbiamo visto che i sistemi politici in Europa occidentale si sono "scongelati", cioè sono diventati più fluidi e quindi contendibili. Syriza è passata dal 5 al 35% in pochi anni. Podemos da 0 al 20% in pochissimo tempo ecc. Sembra probabile che questa situazione durerà nel tempo. Anche perché la fuoriuscita dalla crisi economica, probabilmente, attenuerà ma non modificherà le condizioni di ingiustizia sociale e tenderà a creare le condizioni per nuove crisi.

Quindi "noi" siamo quelli che vogliono costruire un soggetto politico antiliberista di massa che aspira a diventare la forza maggioritaria di governo del Paese ("diventare" il governo, non "andare" perché per quello basta aderire al partito che vincerà le elezioni). Nell'immediato dobbiamo definire le condizioni per le quali le prossime elezioni potranno essere considerate una vittoria. Il criterio più semplice è di presentarci alle elezioni e ottenere abbastanza voti da entrare in Parlamento. Non sappiamo ancora esattamente quale sarà la legge elettorale e quindi non possiamo dire con certezza quale sarà l'asticella reale da superare, ma questo è il primo obbiettivo per cui lavorare. Negli ultimi anni si è ottenuto questo risultato solo alle elezioni europee del 2014.

Però subito dopo viene il secondo obbiettivo minimo: che il soggetto/lista con il quale ci presenteremo alle elezioni riesca a durare nel tempo e a diventare un elemento permanente del sistema politico. Nel caso delle elezioni europee questo non è riuscito anche perché abbiamo eletto una rappresentanza che non ha rappresentato un elemento di coagulo del processo unitario.

I due passaggi apparentemente più semplici (la definizione del "noi" e l'individuazione degli obbiettivi minimi per dichiararci vincitori), non lo sono affatto, considerato che molti soggetti attivi nella sinistra non condividono nessuno di questi due elementi.

Però questi a me paiono i due elementi primari. Da qui si deve passare alla questione dei tempi e del come.

"Mover Ficha",  fare la prima mossa

In politica spesso la tempestività di una decisione è rilevante nella possibilità di aver successo. Essendo nell'anno del centenario della rivoluzione russa, ricordiamo che ci fu un'accesa discussione tra i bolscevichi su quando fosse il momento giusto per portare le guardie rosse all'assalto del Palazzo d'Inverno: il 6 novembre sarebbe stato troppo presto, l'8 novembre troppo tardi.

Le nostre decisioni non avranno certamente la stessa rilevanza storica ma, nel nostro piccolo, abbiamo anche "noi " il problema dei tempi. "Noi", per presentarci adeguatamente alle elezioni, data la scarsità delle risorse ed il fatto che avremo un altro nome diverso dai precedenti, abbiamo bisogno di qualche mese, presumibilmente non meno di 5 o 6. Per questo bisogna fare la prima mossa ("Mover ficha", secondo la formula del primo atto di Podemos) e farla probabilmente entro ottobre o l'inizio di novembre. Ciò vuol dire presentare il profilo di un progetto politico-elettorale che sia presente alle elezioni politiche del 2018.

E' del tutto ovvio che questa scelta presenta degli elementi di rischio. Attualmente abbiamo da un lato Pisapia e, con qualche mugugno, l'MDP (Bersani-D'Alema) con un indirizzo strategico e Rifondazione Comunista con un altro. Sinistra Italiana e "Brancaccio" sono in una certa misura in mezzo. Questi ultimi sono, mi pare, relativamente vicini all'indirizzo strategico di Rifondazione (no al centro-sinistra, sì alla sinistra popolare e alternativa), ma difensori strenui della possibilità di avere una lista unica a sinistra del PD.

"Mover Ficha", ovvero fare la mossa, serve ad evitare il rischio di mesi di discussioni tra gruppi dirigenti, fino a trovarsi a ridosso delle elezioni senza aver mai parlato agli elettori e senza avere un progetto chiaro e condiviso sui quali mobilitarli. Sull'altro piatto della bilancia sta il rischio di perdere per strada possibili alleati che potrebbero essere importanti per il successo elettorale. Ma la politica è fatta anche di azzardo e di rischio. Personalmente mi sento di sostenere il "Mover Ficha", ma vedremo le decisioni che prenderanno coloro che ne sanno di più e hanno titolo per decidere.

Nella prospettiva secondo la quale "noi" possiamo"vincere" le elezioni, ci sono alcune scelte relative al come. Naturalmente sappiamo che una ricetta vincente ha molti e complessi ingredienti, a volte imprevedibili e a volte persino insondabili anche alle analisi che si fanno dopo, figuriamoci a quelle che si fanno prima. La politica è, in fondo una miscela di scienza e di arte, di coraggio e di astuzia. Quindi prendo solo qualche ingrediente, anche perché sono quelli più immediatamente riconoscibili.

"Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d'avere il suo profumo se la chiamassimo con un altro nome?"

Partiamo dal nome. Abbiamo usato diversi nomi nella storia recente (Sinistra Arcobaleno, Rivoluzione Civile, L'Altra Europa con Tsipras, Lista della Sinistra Anticapitalista, Federazione della Sinistra, Cambiare Si Può) ed altri nella storia più lontana (Liste di unità proletaria, Fronte del Popolo, Blocco del Popolo).

Possiamo anche guardare alla notevole offerta di soluzioni utilizzate in Europa o fuori d'Europa. Provando a fare una lista non esaustiva: Sinistra Unita, Possiamo, Uniti Possiamo, In Comune, Blocco di Sinistra, Coalizione della Sinistra Radicale, Coalizione del Progresso dell'Ecologia e dei Movimenti, Fronte di Sinistra, la Sinistra, Alleanza Rosso-Verde, Francia Ribelle, Fronte Elettorale Rosso, Il Popolo prima del Profitto, Alleanza Anti-Austerità, Fronte Democratico per la Pace e l'Uguaglianza, Fronte Ampio, Democrazia Avanzata, Movimento per la Partecipazione Popolare, Unità Popolare, Fronte Popolare, Fronte Democratico di Sinistra, Movimento di Rigenerazione Nazionale e se ne potrebbero aggiungere.

Il nome della lista ed il simbolo ad esso collegato dovrebbero avere caratteristiche non sempre facili da combinare: rendere chiaro che la lista rappresenta "noi" ma, dato che parlando di "noi" parliamo di un numero abbastanza ristretto di persone, dovrebbe creare adeguata empatia per i tanti che non sono "noi", ma che condividono con "noi" molti se non tutti i valori, gli obbiettivi e gli interessi. In somma, essere al contempo identificabile per "noi" ma aperta alla possibilità che molti altri che oggi non si sentono "noi" possano riconoscervi. Queste caratteristiche dovrebbe essere tali da reggere alla stabilizzazione di un soggetto che duri nel tempo e non solo ad una lista elettorale. Facilmente comprensibile, sintetizzabile e memorizzabile. In particolare fare in modo che i media ci identifichiamo per come decidiamo noi, non per come decideranno loro (ricordiamo l'astuzia di Renzi, nel momento della presentazione della sua legge elettorale, di fornirne anche la descrizione utile per i titoli di giornale).

Un secondo problema è individuare chi debba parlare per "noi". Per quanto possiamo non gradire l'eccesso di personalizzazione della politica, dobbiamo tener conto che nel crescere del livello di spoliticizzazione di massa, l'identificazione con uno o più candidati diventa un passaggio ineludibile per trasmettere il "nostro" messaggio politico. Nelle tre elezioni di riferimento abbiamo avuto esperienze diverse da cui trarre non facili lezioni. Non mi dilungo nell'analisi ma direi che: 1) nel primo caso (Sinistra Arcobaleno) abbiamo puntato su un leader politico dotato di un certo carisma, ma nella fase in cui questo carisma era declinante, mentre 2) nel secondo caso abbiamo scommesso su un esponente della "società civile" che non si è dimostrato all'altezza delle esigenze comunicative della coalizione elettorale. Nel terzo caso (Altra Europa) ci siamo trovati nella situazione tutto sommato paradossale di non avere una figura rappresentativa della lista, se non parzialmente quella di Tsipras, che aveva il beneficio di essere straniero e quindi esterno alle difficoltà e ai problemi che rendevano più difficile il compito di un portavoce nazionale. Paradossale perché ci ha giovato non avere nessuno di cui Crozza potesse fare l'imitazione.

Presentando un progetto politico relativamente nuovo sembra ragionevole che sia "interpretato" da una figura nuova, o meglio ancora da due figure che rispettino la parità di genere. La critica sulla scarsa presenza di figure femminili nell'insieme delle sinistre ha un fondamento anche se a volte è avanzata per motivi puramente strumentali.

Dovrebbero essere figure credibili, empatiche e capaci di comunicare il contenuto del progetto politico e avere quel tanto di fiuto politico necessario ad evitare le trappole insidiose di una campagna elettorale. Sulla carta i due promotori del Brancaccio potrebbero avere queste caratteristiche ma non hanno ancora chiarito fino in fondo la prospettiva politica per cui lavorano e quindi rischiano di far svanire quel capitale minimo di attenzione di cui potevano disporre dopo l'assemblea nazionale di Roma. E anche qui torna la questione dei tempi.

Altro tema importante è quello della comunicazione e delle modalità di coinvolgimento nella campagna elettorale. Le forze militanti a disposizione sono importanti ma sono anche insufficienti. Occorre sicuramente aggregare molte più forze che siano attive nella campagna elettorale e in prospettiva possano essere coinvolte nel soggetto politico unitario dopo il voto.

Questo significa che bisogna puntare su una forma di coinvolgimento che utilizzi le reti sociali, come hanno fatto con successo sia Podemos che France Insoumise. Probabilmente bisognerebbe utilizzare una soluzione intermedia tra il partito puramente virtuale di Grillo e il partito di militanti che si dedicano anima e corpo all'azione politica. "Noi" abbiamo bisogno di mescolare la mobilitazione virtuale (termine improprio) con quella faccia a faccia. E questa dovrebbe essere una caratteristica strutturale del nuovo soggetto politico plurale. La partecipazione virtuale abbassa la soglia di ingresso perché in fondo richiede scarso impegno e coinvolgimento rispetto alla militanza reale, ma consente di penetrare più rapidamente in ambienti sociali diversi che sono difficilmente raggiungibile da una forza esclusa dai grandi media e con una scarsa densità di penetrazione sociale (15-20.000 militanti). Altra Europa si è mossa su una strada analoga ma ha pagato il limite di non aver tratto immediatamente le conseguenze del proprio successo elettorale. Anche se la soglia di partecipazione richiesta è bassa risulta sempre troppo alta se non si a che cosa si partecipa.

L'uso degli strumenti sociali di comunicazione è evidentemente importante ma su questo mi pare non si sia costruito molto negli anni passati. Né si è riflettuto molto su che cosa abbia funzionato e che cosa no. I grillini, da questo punto di vista, al di là del contenuto politico dei loro messaggi, hanno utilizzato meccanismi interessanti. Non c'è solo il blog, ma anche la capacità di attivare decine se non centinaia di migliaia di persone che veicolano con regolarità i messaggi del movimento sul web. Le esperienze della sinistra ci ricordano che ci sono varie modalità per trasmettere il messaggio, non solo attraverso la comunicazione "razionale" ma anche quella "emotiva", che tende ad essere altrettanto se non più importante della prima.

"Abbiamo perso la guerra, ma avevamo le canzoni più belle" (cit. da un combattente della guerra civile spagnola)

Per fare un esempio, c'è l'uso delle canzoni. Si va dalla classica "Cancion del Poder Popular" degli Inti-Illimani nella campagna elettorale di Allende,


a quella più recente diffusa come spot elettorale per il movimento messicano MORENA,




oppure la canzone ripresa per la campagna elettorale di Melenchon 2012 che ne è diventata l'inno non ufficiale.


Per poter funzionare la comunicazione sulle reti sociali deve avere due elementi: il primo è la capacità professionale di saperli utilizzare al meglio per la comunicazione e l'altra è la capacità di creare una rete che consenta di amplificare i contenuti professionali ma anche di attivare la creatività dal basso. Finora "noi" abbiamo utilizzato poco entrambi gli aspetti. Il primo per ragioni di costi, il secondo perché forse ancora troppo legati ad una logica del militante "faccia a faccia".

Tutto quello che abbiamo richiamato finora (nome, simbolo, portavoce, utilizzo delle reti ) non funziona in astratto e nel vuoto delle relazioni politiche e sociali. Perché abbiano un certo successo occorrono in genere due condizioni: 1) che ci sia chiarezza sul messaggio da comunicare, 2) che si individuino degli interlocutori potenziali del messaggio. In precedenti elezioni queste due aspetti sono in parte mancati. 

Questi due criteri riportano pienamente al centro la politica, in senso classico, in quella che finora sembrava essere solo una preoccupazione di immagine. 

Il messaggio politico dovrebbe partire dall'idea che esista un vuoto nell'offerta politica attuale in Italia, nonostante si sia pieni di partiti, gruppi e gruppuscoli. I poli politici sono sostanzialmente tre, anche se con problemi di ridefinizione dei propri confini, della leadership ecc.: La destra Berlusconi-Salvini, il Movimento 5 Stelle, il PD renziano. L'ipotesi "nostra" è che ci sia un vuoto, ovvero che un numero significativo di elettori non apprezzi nessuna delle tre offerte. Questo vuoto si traduce in due fenomeni: l'aumento delle astensioni, l'aumento del voto "contro" rispetto al voto "per" (voto qualcuno non perché ne condivida realmente la politica ma perché ritengo che l'altra opposta sia peggiore e pericolosa).

Il "vuoto" si colloca sulla sinistra del sistema politico, visto che l'evoluzione di una parte dell'ex PCI e di una parte dell'ex DC ha portato alla formazione di un partito  neocentrista e che la destra è molto affollata. La tesi del superamento della frattura politica lungo l'asse destra-sinistra si è rivelata sostanzialmente uno strumento per rilegittimare, in genere, idee di destra.

Questo "vuoto" va colmato non solo perché farebbe piacere a "noi", ma perché è essenziale per dare soluzione a contraddizioni economiche, politiche, sociali e culturali che altrimenti troverebbero un esito tale da peggiorare lo stato del paese e le condizioni di vita di molti suoi cittadini.

Come dare rappresentanza politica a questo "vuoto"? Per non farla troppo lunga vorrei indicare solo una questione di metodo. Credo che non serva tanto un programma generale e dettagliato che presupponga di dare soluzione a tutti i problemi del paese, quanto di individuare 4 o 5 temi orientati lungo un asse relativamente omogeneo.

Partito "pigliatutto" o selezione delle "costituencies"? Materialismo o post-materialismo?

Ci proponiamo come "partito pigliatutto" o selezioniamo una serie di "costituencies" (gruppi sociali relativamente omogenei sul piano sociale, geografico o di orientamento ideologico) a cui rivolgerci in modo preferenziale? Sembrerebbe abbastanza scontato che la risposta sia la seconda. Parliamo di ceti disagiati, ceti popolari, ecc. In realtà questi riferimenti restano in gran parte retorici e generici. Quasi mai la costruzione del programma è relazionata strettamente all'individuazione di soggetti sociali precisi. L'individuazione di "costituencies" ben definite presupporrebbe di costruire il programma sulla base dei soggetti a cui ci rivolgiamo, non il contrario. Dobbiamo tener conto che rispetto alla "nostra" tradizione, come ben sappiamo, non abbiamo più un nucleo forte centrale (la classe operaia industriale della grande fabbrica fordista) attorno al quale costruire una rete di alleanze sociali (contadini, ceti medi, intellettuali, borghesia nazionale, ecc.). Quali sono in questa fase specifica (ed intendo proprio in questi mesi, non nella fase del capitalismo liberista) i soggetti sociali che possono essere coinvolti nella nostra proposta politica: i precari del terziario avanzato, gli insegnanti, i dipendenti pubblici a basso reddito, gli operai sindacalizzati, ecc. ecc. ?

Questa prima serie di "costituencies" è determinata dalla condizione sociale lavorativa (o dall'assenza di condizione lavorativa). Una seconda serie può essere individuata in quella che viene definitiva come la "welfarist costituency". Si tratta di tutti coloro che sentono l'esigenza di uno stato sociale forte, in grado di fornire servizi di qualità (scuola, salute, casa, assistenza sociale). In buona parte coincide con la prima, ma si colloca diversamente sul piano soggettivo e della coscienza. Individua la propria rappresentanza politica non tanto in quanto lavoratore, bensì in quanto fruitore di servizi pubblici.

Le costituencies possibili sono articolabili secondo la classica distinzione "materialismo/post-materialismo". Quelle che ho finora indicato rientrano nel primo tipo (materialismo). La tesi emersa negli anni settanta, a partire dal diffondersi dei nuovi movimenti sociali presupponeva che gran parte delle società occidentali avessero risolto i problemi legati alla condizione materiale grazie allo sviluppo dei diritti del lavoro, lo stato assistenziale, l'incremento della ricchezza socialmente prodotta e la sua, parziale, redistribuzione. E quindi i nuovi conflitti sorgevano per rivendicare la soddisfazione di beni non materiali (libertà sessuale e di scelte individuali, affermazione femminile, ambiente ecc.).

Si supponeva che la sinistra si caratterizzasse per l'impegno sulle tematiche post-materialiste e quindi acquisisse un profilo "verde-libertario". In realtà l'affermarsi dell'egemonia liberista ha riproposto nuovamente molte delle tematiche "materiali" che sembravano risolte, e questo è risultato ancora più evidente con la crisi scoppiata nel 2007. In questo senso quelle che venivano definite come tematiche "post"-materialiste (cioè venute dopo la soluzione dei problemi materiali) possono essere definite come tematiche non-materialistiche. Si aggiungono e si affiancano, non si sostituiscono.

Senza cadere nell'economicismo (la riduzione del conflitto sociale a problema economico) e mantenendo l'apertura alle tematiche proprie dei nuovi movimenti sociali, penso che in questa fase il "vuoto" di rappresentanza politica possa essere colmato con una maggiore focalizzazione sulle tematiche cosiddette "materialiste". Ciò significa una netta caratterizzazione delle tematiche legate al lavoro e alla giustizia sociale. Mentre su alcune delle tematiche relative ai diritti sono anche possibili convergenze con altre forze, sono proprio quelle legate al nocciolo duro del liberismo che necessitano di un polo politico autonomo e identificato.

Con questo chiudo quello che vuole essere solo un "work in progress" nella definizione della ricetta vincente. Sperando che già questo lungo post non risulti troppo indigesto.

Franco Ferrari

* per i pochi ;-) che non se lo ricordano, gli otzovisti erano una corrente del partito bolscevico russo. Ritenevano che, dopo la sconfitta della rivoluzione del 1905, ci si dovesse ritirare dalle sedi istituzionali (le Duma). Vennero combattuto e sconfitti da Lenin.

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