giovedì 5 settembre 2013

"Quando c'è una meta, anche il deserto diventa strada" (proverbio tibetano)

La descrizione che Burgio dà della situazione, nell'articolo pubblicato dal Manifesto, è efficace ma è appunto descrizione di quello che tutti vediamo. Molto meno chiara è l’indicazione sulla proposta. Condivisibile l’unità sui contenuti con l’iniziativa di Rodotà e Landini (anche se mi sembra che il loro appello sia insufficiente per delineare un programma di rotture con le politiche liberiste della trojka, sostenute dall’attuale Governo). 

Ma noi abbiamo anche un problema di definizione dello “strumento politico” e della strategia. Senza questi qualsiasi contenuto programmatico è “flatus vocis”, aria al vento. Quale strumento politico propongono Rodotà e Landini? Per ora è confuso. Uno “spazio politico” che non presenta liste e non diventa partito? E allora che cos’è e a che cosa serve? Questo linguaggio vago fa parte di accortezza tattica? Ma si può costruire un soggetto politico che susciti volontà facendo finta di non farlo?. 

Sul piano strategico a chi guardano Rodotà a Landini? Se penso che la FIOM nella sua festa, per discutere del futuro della sinistra, ha invitato solo Vendola e Barca è evidente che si guarda alla sinistra del centro-sinistra in funzione di un riequilibrio, illusorio, all’interno dell’esistente. Forse Rodotà pensa più a far pesare il rapporto con il movimento 5 stelle per correggere a sinistra il centro-sinistra. Ma anche questa mi sembra una strategia illusoria benché sul piano parlamentare potrebbe dare qualche frutto nell’immediato, perché alla fine subalterna ad altri soggetti politici oggi ancora molto più “pesanti”. Ma anche in questo caso si può perseguire una strategia senza dichiararla, spiegarla, renderla convincente, accontentandosi del principio secondo cui, “nel mondo degli orbi il guercio è re”.

Quindi bene l’unità sui contenuti e sulle iniziative di lotta che ne possono derivare, ma avendo la consapevolezza che la strategia delineata da loro oggi (e presumibilmente anche domani) non è la nostra. O meglio, quella che dovrebbe essere la “nostra” se ne avessimo una.

Il problema è la difesa delle piccole riserve? Forse anche questo è uno dei problemi. Ma temo che fra queste piccole riserve, difese con le unghie e con i denti, vi sia anche “essere comunisti”, di cui peraltro si fa fatica oggi a capire il senso, visto che è passato disinvoltamente dalla difesa dell’identità (anche più di quanto fosse necessario) alla rinuncia delle “appartenenze ormai obsolete” (anche più di quanto non sia necessario).

Un’ultima osservazione. Rifondazione Comunista nelle ultime elezioni politiche ed europee non si è mai presentata da sola. Abbiamo contribuito generosamente alla Sinistra Arcobaleno, alla Lista anticapitalista, alla Federazione della Sinistra, a Cambiare si può e a Rivoluzione Civile. Tutte queste esperienze unitarie hanno avuto esito negativo. A parte la prima tutte con l’attuale segretario del partito. Non è certo di mancanza di spirito unitario che rischiamo di morire. 

Vuol dire che dobbiamo rinunciare alla ricerca unitaria? No, non credo, ma credo che dobbiamo da un lato capire perché queste esperienze molto diverse tra loro non abbiano funzionato e soprattutto capire noi quale proposta avanziamo per un progetto unitario, quale prospettiva strategica, quali forze vorremmo che fossero in campo, ecc. E poi confrontarci nel merito con chiarezza e con flessibilità con tutti i soggetti che si muovono. Sapendo che noi non abbiamo tutte le soluzioni, ma nemmeno gli altri. E temo nemmeno gli onesti Landini e Rodotà.

Franco Ferrari