domenica 25 settembre 2011

Gli obbiettivi dell'Assemblea del 1° ottobre "Contro l'Europa delle banche"

Si terrà il 1° ottobre, all'Ambra Jovinelli di Roma, un'assemblea "autoconvocata" il cui tema recita: "contro l'Europa della banche, noi il debito non lo paghiamo". Il principale promotore dell'incontro è il dirigente della FIOM-CGIL Giorgio Cremaschi.

L'iniziativa si colloca in un contesto di permanente crisi della sinistra alternativa italiana e di frammentazione delle strategie e delle proposte politiche. Grosso modo l'area delle forze che si collocano a sinistra del PD può essere divisa, sulla base delle attuali opzioni di schieramento, in tre correnti. La prima è quella che si propone l'integrazione organica e strategica nel centrosinistra (Vendola e Sinistra e libertà in primis, ma con qualche tentazione che lambisce anche la Federazione della Sinistra); la seconda cerca l'autonomia strategica ma è favorevole ad un'alleanza democratica, almeno sul terreno elettorale (la maggioranza della FdS ed in particolare del PRC); la terza, infine, è quella contraria a qualsiasi alleanza anche solo elettorale col PD e persegue la costruzione di un polo autonomo che si collochi all'estrema sinistra dello schieramento politico (minoranze del PRC, piccoli gruppi come il PCL di Ferrando e il CSP di Rizzo).

Per quanto riguarda le due forze maggiori della Federazione della Sinistra, il PRC e il PdCI, verificheranno la loro adesione ad una ipotesi di alleanza tattica ed elettorale col PD finalizzata alla sconfitta dello schieramento di destra nelle prossime elezioni, nel corso dei congressi nazionali già convocati che si terranno entro l'anno.

In questo quadro ancora instabile, soprattutto per l'incerta evoluzione della situazione economica e politica, va colto il senso politico dell'assemblea del 1° ottobre, la cui direzione di marcia è definita in alcuni passaggi chiave del documento che la promuove, nei quali viene  sottolineata la sostanziale identità degli schieramenti di centrodestra e di centrosinistra. 
"Centrodestra e centrosinistra appaiono in radicale conflitto fra loro, ma condividono le scelte di fondo, dalla guerra, alla politica economica liberista, alla flessibilità del lavoro, alle grandi opere."
"Tutte e tutti coloro che in questi mesi hanno lottato per un cambiamento sociale, civile e democratico, per difendere l’ambiente e la salute devono trovare la forza di unirsi per costruire un’alternativa fondata sull’indipendenza politica e su un programma chiaramente alternativo a quanto sostenuto oggi sia dal centrodestra, sia dal centrosinistra."
"Non intendiamo mettere in discussione appartenenze di movimento, di organizzazione, di militanza sociale, civile o politica. Riteniamo però che occorra a tutti noi fare uno sforzo per mettere assieme le nostre forze e per costruire un fronte comune, sociale e politico che sia alternativo al governo unico delle banche."
Quindi l'obbiettivo politico centrale è quello di dar vita ad un "fronte sociale e politico"  alternativo al centrodestra e al centrosinistra. Quale sia la forma organizzativa di questo "fronte" non è chiarito dall'appello, anche se il richiamo al rispetto alle appartenenze attuali di coloro che partecipano all'iniziativa, lascia intendere che non sarà un partito in senso stretto. Resta ancora indeterminato se questo "fronte", una volta costituitosi, debba proporsi di presentarsi autonomamente anche sul terreno elettorale o restare nella forma di movimento esterno al momento elettivo che interagisce con le forze politiche esistenti.

Il documento ha raccolto finora poco meno di 1.600 firme, un dato tutt'altro che travolgente, anche confrontato con quello raggiunto da altri appelli circolati recentemente a sinistra (quello sulla "ricostruzione de partito comunista", in base al quale la corrente dell'Ernesto è traslocata dal PRC al PdCI, aveva raccolto, secondo i suoi promotori, quasi 2.000 firme).

Chi sono i sostenitori di questa iniziativa "terzista", oltre al già citato Cremaschi? Scorrendo l'elenco dei promotori e dei firmatari emerge la prevalenza di aderenti appartenenti alla CGIL,  collocati in tale organizzazioni a livelli diversi di responsabilità. Pochi però risultano i dirigenti anche nella stessa FIOM e tra questi alcuni aderiscono sulla base più della propria appartenenza politica che per espressione sindacale, anche quando questa appartenenza non figuri esplicitamente a fianco del loro nome.


Il primo dato che emerge è il seguito fortemente minoritario che l'assemblea del 1° ottobre può contare non solo nella CGIL nel suo complesso, ma anche nella minoranza di sinistra "La CGIL che vogliamo" e nella stessa FIOM di Cremaschi. Qui emerge anche una delle contraddizioni insite nell'iniziativa promossa da quadri e militanti della CGIL. Considerato che la CGIL è di gran lunga la più importante organizzazione di massa della sinistra, per numero di iscritti, insediamento sociale e dimensione dell'apparato, la sua collocazione ha un peso preminente nel consentire uno spazio politico e di consenso adeguato ad una iniziativa politica che si collochi fuori e contro il centrosinistra. Ed è fuor di dubbio che la CGIL sia organizzazione collaterale al centro-sinistra, in particolare al PD nella sua grande maggioranza, e alla sinistra interna al centro-sinistra di gran parte dei settori più avanzati (FIOM, parte di "CGIL che vogliamo").


La stessa sinistra CGIL  auspica che si affermi un nuovo possibile schieramento di governo che sostituisca la destra di Berlusconi e Bossi, con accentuazioni diverse sul piano dei contenuti politici che dovrebbero caratterizzare queste schieramento, ma sull'obbiettivo in sé converge con la maggioranza della Confederazione. Come si concilia la ricerca di un fronte che pone un segno di eguaglianza tra centro-sinistra e centro-destra con la permanenza all'interno della CGIL, cioè del principale organismo di massa che legittima il centro-sinistra agli occhi di milioni di lavoratori e di pensionati?. La risposta, immaginiano, è che la CGIL è un organismo complesso nella quale convivono il moderatismo subalterno della Camusso a migliaia di lavoratori e delegati molto più a sinistra, e quindi sarebbe settario liquidare la CGIL come organica al governo unico delle banche. Una simile considerazione, che ha un oggettivo fondamento e che respinge un atteggiamento settario, può valere nello stesso modo anche nell'approccio col centro-sinistra che non può essere settariamente identificato con le politiche perseguite dai dirigenti del PD.


Cercare di tenere i piedi i due scarpe, la CGIL dal lato sindacale, il fronte "terzista" sul terreno politico, presenta un elemento di contraddizione non facile da sciogliere per i promotori dell'assemblea del 1° ottobre. 


Questa iniziativa è sostenuta anche da alcuni gruppi politici, come emerge sia dalle adesioni (anche se quasi sempre viene occultata la caratterizzazione politica di questi firmatari) sia dalle prese di posizioni rintracciabili sui vari siti web. A favore dell'iniziativa di Cremaschi si sono schierati diversi gruppi trotzkisti sia interni che esterni a Rifondazione Comunista. Tra i secondi In particolare Sinistra critica (legata alla Quarta internazionale) che era uscita dal PRC cogliendo come pretesto l'espulsione di Turigliatto, ma finita sostanzialmente in un vicolo cieco politico. Dall'interno del PRC aderiscono Falcemartello, che persegue l'obbiettivo della costituzione del "partito di classe" o "partito dei lavoratori" con pezzi di FIOM e sinistra CGIL, settori del sindacalismo di base e di movimenti giovanili, e la più piccola Controcorrente (residuo della corrente ferrandiana dopo la scissione che ha portato alla nascita del PCL) per la quale è opportuno che dall'Assemblea escano "decisioni in grado di avere un’influenza immediata sul piano politico" per evitare il rischio di "sgonfiamento" del progetto.


Da tutt'altro versante ideologico viene il sostegno all'Assemblea da parte della "Rete dei Comunisti", la quale non ha e non pretende di avere un insediamento di massa, ma dispone di una certa influenza per il ruolo che svolge all'interno del principale sindacato di base, l'USB. E' probabile che nel coinvolgimento della Rete, pesi un valutazione di ordine sindacale, oltre che una condivisione di alcune posizioni di merito presenti nel documento di convocazione (in particolare l'appello "a non pagare il debito") e dell'ispirazione "terzista". E questa valutazione consiste in una strategia dell'attenzione verso quei settori di "estrema sinistra" presenti nella CGIL, in vista di una possibile loro uscita dalla confederazione della Camusso e di apertura al processo di allargamento del sindacato di base messo in piedi con la costituzione dell'USB (unificazione di RdB, SdL e settori CUB). 


Il documento che convoca l'Assemblea contiene anche 5 punti programmatici che meritano una discussione più approfondita che non però non può trovare spazio in questa nota. In particolare la parola d'ordine del non pagamento del debito pubblico andrebbe sottoposta ad una vaglio rigoroso, anche alla luce di altre proposte che circolano nella sinistra italiana ed europea.

venerdì 23 settembre 2011

Che cosa vuole la Cina?

La crisi economica globale ha reso ancora più rilevante il ruolo della Cina nell'ambito dell'assetto dei poteri globali, mentre stanno cambiando gli equilibri che si erano determinati dopo il crollo dell'Unione Sovietica. Il gigante asiatico partecipa alle riunioni dei cosiddetti BRICS, i Paesi economicamente e politicamente in ascesa che cercano di influire , sull'evoluzione dello scenario mondialecollegandosi tra loro .

Il ruolo della Cina viene spesso raffigurato alla luce di schematismi prodotti in Occidente, ma poco attenti a quanto lo stesso gruppo dirigente viene affermando, presentandosi con prudenza ma con crescente determinazione, come potenza politica ed economica mondiale. Dopo una fase di demonizzazione nella quale la Cina era imputata di essere responsabile delle difficoltà di diversi settori produttivi delle economie capitalistiche più avanzate, ora viene vista come la possibile salvatrice del sistema economico globale, grazie alle ingenti risorse finanziarie accumulate per effetto di una consistente eccedenza della bilancia commerciale con gli Stati uniti e con altri Paesi.

Il punto di vista cinese è stato espresso nei giorni scorsi dal Primo ministro Wen Jiabao nel corso di un incontro del World Economic Forum che si è tenuto a Dalian. Il dirigente cinese ha colto l'occasione per richiamare, con grande lucidità mi sembra, sia le richieste cinesi all'occidente, sia gli obbiettivi che la Cina si pone nel suo percorso di sviluppo economico e sociale.

Per quanto riguarda l'Europea è già stato fatto notare che la Cina non ha affatto l'intenzione di risolvere la crisi dei "debiti sovrani" (al di sotto della quale vi è però una crisi sempre più radicale dell'interno meccanismo capitalistico neoliberista) con massicce iniezioni di denaro, correndo ad acquistare titoli di stato dei paesi in difficoltà. Il primo ministro cinese non esclude un maggiore intervento cinese nell'acquisire quote del debito europeo, ma lo vincola a due condizioni: la prima è che alla Cina venga riconosciuta, in anticipo rispetto ai tempi già previsti, la qualifica di economia di mercato e quindi di poter interagire in modo più libero e integrato con le economie capitalistiche europee; la seconda è che gli stati europei applichino politiche di rigore fiscale e di equilibrio dei bilanci. In questo senso non è certo da questi eventuali interventi cinesi che può venire un sostegno alla realizzazione di politiche alternative di rottura con il neoliberismo.

Anche agli Stati Uniti, la Cina propone una maggiore integrazione con una apertura agli investimenti cinesi, i quali, afferma Wen Jiabao, potrebbero consentire la creazione di molti posti di lavoro. La Cina aspira quindi a modificare il proprio ruolo di fornitore di beni di consumo a basso prezzo (e a volte anche di bassa qualità) a vero e proprio soggetto economico capace di gestire pezzi del sistema economico americano.

La Cina, anche qui contro l'idea di chi immagina una sorta di nuovo confronto tra blocchi, sul modello di quello che ha visto contrapporsi il mondo capitalistico, guidato dagli Stati Uniti e mondo socialista, guidato dall'Unione Sovietica, tra la fine degli anni '40 e la fine degli anni '80, ha ben chiaro che il proprio sviluppo nazionale avviene oggi attraverso una stretta connessione con il sistema capitalistico mondiale. 

I cinesi, consapevoli credo del fatto che una loro massiccia irruzione sulla scena politica, oltre che economica, internazionale, determinerebbe un rimescolamento degli equilibri mondiali, non privo di rischi di crisi e di conflitti (anche militari), si muovono con grande prudenza. La loro priorità è la crescita economica del loro paese, sulla base del principio-guida dell'armonia. Dopo gli anni dell'accelerazione allo sviluppo economico concentrato sulle zone speciali, che aveva creato consistenti disuguaglianze tra le varie aree del loro immenso paese, hanno corretto la rotta, cercando di trovare un (difficile) punto di equilibrio tra crescita economia ed equilibrio sociale. 

Gli obbiettivi che indica Wen Jiabao sono di due ordini. Innanzitutto ci si propone di modificare la qualità produttiva dell'economia, incorporando una massiccia dose di ricerca scientifica e sviluppo tecnologico (ci si propone di investirvi il 2,2% del PIL cinese), in modo da non essere più solo identificati come il paese del "made in China", ma anche come un paese che produce innovazione e brevetti ed entra quindi in modo non subalterno nella gamma di prodotti di qualità.

Contemporaneamente ci si propone di mantenere una finalità distributiva alla produzione della ricchezza, finalizzandola alla parte più povera della società cinese, lasciando un po' al palo i settori sociali che già hanno migliorato in modo significativo la loro condizione di vita. In questo si può parlare, con la necessaria prudenza nel confrontare realtà così diverse, di una politica di tipo socialdemocratico classico. Da un lato si incentiva la crescita economia, che avviene secondo i principi del mercato capitalistico, al quale si attribuisce una maggiore efficienza, e dall'altra si opera un'azione di ripartizione delle ricchezze. Per ottenere questi due obbiettivi lo, Stato e quindi la politica (oggi pressoché disarmati in occidente dopo tre decenni di politiche neoliberiste), svolgono un ruolo centrale rispetto agli interessi economici privati.

Questo ruolo primario dello Stato pone inevitabilmente il tema della riforma politica. La posizione di Wen Jiabao (ma va tenuto presente che in Cina esiste un ricco dibattito sulle prospettive economiche e politiche, anche se questo coinvolge limitatamente la popolazione nel suo complesso) è che questa riforma vada portata avanti ma con la necessaria prudenza. Innanzitutto occorre garantire. lo stato di diritto, ovvero il rispetto delle leggi, contro ogni tipo di abuso e di corruzione. Poi deve essere sviluppato un maggior grado di decisione e di apertura anche dei meccanismi elettorali, a partire dai livelli locali. Queste forme di "autogoverno" andranno gradualmente estese.

Fuori da ogni semplicismo occorre comprendere l'enorme difficoltà e complessità dell'opera di far uscire un paese così grande dal sottosviluppo, con tutte le implicazioni anche ambientali che questo obbiettivo solleva. Sono evidenti anche le contraddizioni che emergono dallo sviluppo cinese, dalle condizioni di particolare sfruttamento in cui lavorano molti operai, alle misure repressive contro gli intellettuali indipendenti e contro alcuni settori sociali, i quali tendono ad ispirarsi al modello economico-politico occidentale e le cui voci vengono particolarmente enfatizzate sui media europei e americani.

La Cina, sulla base delle attuali scelte politiche del suo gruppo dirigente, non è certo destinata a guidare la riscossa della sinistra a livello internazionale (tanto meno un'improbabile resurrezione di un anacronistico "movimento comunista internazionale" di impronta cominternista), ma è indubbio che le forze di sinistra devono porsi il problema di quale possa essere l'influenza del gigante asiatico nelle politiche dei prossimi anni, nella prospettiva di un assetto mondiale pacifico e di maggiore giustizia sociale, il quale richiede una svolta radicale rispetto all'egemonia neoliberista. 

sabato 17 settembre 2011

La Danimarca svolta a sinistra

Le elezioni parlamentari in Danimarca, tenutesi pochi giorni fa, hanno segnato un'importante svolta politica, mettendo fine a dieci anni  di governo della destra e aprendo la strada ad una nuova coalizione di forze progressiste, tra le quali due partiti che si collocano a sinistra della socialdemocrazia.

Vediamo innanzitutto i dati. I quattro partiti di quella che viene definita come l'Alleanza Rossa, ovvero Socialdemocratici, Sinistra radicale, Socialisti popolari e Alleanza Rosso-Verde hanno ottenuto 89 seggi, con il 50,2% dei voti, contro gli 86 seggi assegnati ai quattro partiti della destra, l'Alleanza Blue, di cui fanno parte due partiti liberali, i Conservatori e il Partito del Popolo, di orientamento xenofobo. La sinistra potrà disporre di una maggioranza parlamentare un po' più agevole grazie all'apporto di almeno 3 parlamentari su 4 eletti nelle isole Far Oer e in Groenlandia (dove si conferma il grande successo dello Inuit Ataqatigiit, la sinistra alternativa eschimese, col 42,7%).

Il risultato era previsto dai sondaggi, i quali delineavano però un successo più netto delle forze di sinistra; resta comunque il fatto politico rilevante della fine della prevalenza della destra e della volontà di cambiamento espressa dagli elettori danesi. Al di là dei rapporti di forza fra i due schieramenti è importante sottolineare anche quanto emerge dal voto all'interno del centro-sinistra.

La socialdemocrazia non riesce a riconquistare il ruolo di primo partito politico del paese, che rimane nelle mani dei liberali del primo ministro uscente Rasmussen, e perde un seggio. Il principale alleato è il Partito Socialista Popolare, sorto alla fine degli anni '50 dalla scissione di una tendenza "revisionista" del Partito Comunista, che ha poi di fatto largamente soppiantato come punto di riferimento dell'elettorato critico della socialdemocrazia sul piano sociale e della politica estera, ed in particolare dell'inserimento della Danimarca nell'Unione Europea. I Socialisti popolari sembravano destinati fino a qualche tempo fa ad una forte ascesa elettorale, con i sondaggi che li proiettavano al 20% rispetto al 14% delle elezioni del 2007. Il risultato è stato invece un forte arretramento che ha portato il partito a scendere sotto il 10% e a perdere 7 seggi. E' probabile che su questo dato abbia pesato l'impressione di un eccessivo appiattimento sulla socialdemocrazia.

La vittoria del centro-sinistra è dovuta quindi non ai partiti che certamente costituiranno la futura coalizione di governo (socialdemocratici e socialisti popolari entrambi in calo) ma dai due partiti che si collocano ai margini della coalizione. Sul versante più moderato è il Radikale Venstre, un partito che rappresenta l'anima più progressista e aperta dello schieramento borghese, e che storicamente si è schierato con la socialdemocrazia. Questo partito, che guadagna 8 seggi, è fortemente ostile al populismo xenofobo del Partito del Popolo, ma ha posizioni economiche liberali e quindi potrebbe rappresentare un limite alla possibilità di imprimere un effettivo cambiamento nella politica economica danese, che già subisce i condizionamenti dell'Unione europea e del capitalismo finanziario internazionale.

L'altro vincitore indiscusso delle elezioni è il partito che raccoglie la sinistra alternativa, nonché membro a pieno titolo del Partito della Sinistra Europea, l'Alleanza Rosso-verde (o Lista Unitaria, Enhedslisten, come recita il suo nome ufficiale). L'Alleanza è nata alla fine degli anni '80 dalla convergenza di diversi piccoli partiti dell'estrema sinistra danese, in particolare il Partito Comunista e il Partito Socialista di Sinistra, che non avevano più la forza, singolarmente, di superare la soglia del 2% richiesta per entrare in parlamento. L'Alleanza si è dimostrata una iniziativa di relativo successo, riuscendo nel tempo a fondere le diverse appartenenze di provenienza, senza peraltro richiedere ai partiti promotori un atto di scioglimento formale. Ormai la gran parte degli iscritti all'Alleanza, circa 5.000, non proviene dai partiti originari.

L'Alleanza Rosso-verde ha ottenuto il 6,7%, contro il 2,2% delle precedenti elezioni, e il suo gruppo parlamentare passa da 4 a 12. Il partito è diretto da un organismo collettivo, ma la sua portavoce, la giovanissima (27 anni) Johanne Schmidt-Nielsen ha acquistato immediatamente una grande popolarità e ha dimostrato di saper svolgere il proprio ruolo con grande abilità e determinazione. Gli aneddoti riportati dalla stampa danese riferiscono che al primo dibattito televisivo tra leader dei partiti al quale si presentò, il rappresentante di un'altra forza politica, scambiandola per una assistente di studio, le chiese di portarle un caffé.

Nelle elezioni del 2007 l'Alleanza aveva attraversato una grave crisi, che la portò, col 2,2% a rischiare l'esclusione dal parlamento. La decisione di presentare una giovane donna musulmana velata, in sé coraggiosa, si rivelò controproducente, non tanto per la reazione di quella parte di elettorato influenzato dal clima xenofobo, che comunque non avrebbe votato l'Alleanza, quanto per l'allarme di una parte di suoi elettori per quella che sembrava una messa in discussione del principio della laicità e della separazione tra spazio pubblico e convinzioni religiose causata dall'aperta rivendicazione religiosa della candidata musulmana.

L'Alleanza, come ha già fatto in precedenti occasioni appoggerà dall'esterno il governo garantendogli una maggioranza, ma stavolta indubbiamente il positivo esito elettorale le consegna una maggiore responsabilità, e come si è già visto in diverse esperienze di altri paesi, la partecipazione al governo o ad una maggioranza da parte di forze della sinistra alternativa, nelle condizioni di crisi economica e di forte condizionamento esterno alle politiche nazionali attualmente esistenti, apre contraddizioni non facili da gestire.

Le elezioni danesi hanno avuto ovviamente al centro la crisi economica che ha colpito anche la Danimarca. Il centro-sinistra propone una politica di investimenti e di spese sociali che possano essere sostenute senza peggiorare la situazione del bilancio pubblico, bilancio che dopo essere stato addirittura in attivo è ora in deficit del 3,8%, dato superiore alla soglia prevista dall'impostazione monetarista dell'Unione Europea. Nelle elezioni del 2007 era stato soprattutto il tema dell'immigrazione a tenere banco e questo aveva favorito la destra più populista e becera.

Le precedenti vicende elettorali in Europa hanno però dimostrato che l'impatto della crisi non determina affatto in modo univoco uno spostamento a sinistra. Anzi, in questo senso la Danimarca, rappresenta una felice eccezione più che la norma. Si può solo auspicare che non resti isolata.

sabato 10 settembre 2011

Un'intervista a Zyuganov sulle prossime elezioni in Russia

Nel prossimo mese di dicembre gli elettori russi saranno chiamati ad eleggere il nuovo parlamento (Duma) e l'anno prossimo, in primavera, sceglieranno il Presidente della repubblica. Il partito dominante resta "Russia Unita" di Putin al quale viene pronosticata una netta vittoria con l'unica incertezza sulle sue dimensioni. Un limitato cambiamento nella situazione politica potrebbe derivare dalla perdita della maggioranza assoluta di cui oggi dispone. "Russia Unita" resta il partito del potere ed ha a disposizioni enormi risorse, oltre ad un largo controllo dei media. Putin, attualmente primo ministro dopo essere stato presidente della repubblica per due mandati, ha promosso attorno al suo partito la costituzione di un "Fronte popolare" che raccoglie altri gruppi e personalità di vario orientamento spesso attratti più dal richiamo del potere che da vere motivazioni politico-ideologiche. Del resto "Russia Unita" si richiama genericamente alla tradizione socialdemocratica e cristiano-democratica europea, con una buona dose di nazionalismo russo.

Le altre forze politiche che sicuramente entreranno nella Duma sono il Partito Comunista della Federazione Russa, guidato da Guennadi Zyuganov, e il Partito Liberaldemocratico, populista di estrema destra di Vladimir Zhirinovsky. Il Partito Comunista è accreditato di un 18% (contro il 12% del 2007). Secondo un politologo russo il suo elettorato sarebbe in parte cambiato: non più solo pensionati e nostalgici dell'Unione Sovietica ma anche nuovi gruppi di "scontenti", molti dei quali si avvicinano al partito. Più incerto il destino di "Una Russia Giusta" che è sorto per offrire un'alternativa di sinistra moderata ai comunisti, non senza l'appoggio sotterraneo del potere. Le previsioni lo collocano tra il 4 e il 6 per cento, a cavallo della soglia di sbarramento del 5% indispensabile per entrare in parlamento. Di fronte a questo rischio di emarginazione dal sistema politico, un dirigente del partito ha proposto la costituzione di un'alleanza con i comunisti, ma questi ultimi non sembrano interessati anche per i persistenti legami esistenti tra "Una Russia Giusta" ed il partito di Putin.

In vista delle elezioni parlamentari e di quelle presidenziali della prossima primavera, nelle quali presenteranno quasi certamente la candidatura di Zyuganov, i comunisti hanno creato a metà luglio il Corpo dei volontari del popolo, richiamandosi ad una vicenda della storia russa, quando nel '600 un analogo Corpo venne creato per liberare Mosca dagli occupanti polacchi. Secondo alcuni commenti critici della stampa, (in generale ostile ai comunisti quindi da prendere con una certa prudenza), il manifesto politico di questa coalizione, che raccoglie sulla carta 3 milioni e mezzo di aderenti, avrebbe un tono decisamente nazionalista e di accentuata caratterizzazione etnica. Il documento chiede tra l'altro di garantire un'eguale possibilità di rappresentanza dei cittadini di etnia russa nelle autorità di governo. Questa strategia servirebbe ad intercettare il crescente spirito nazionalista presente tra l'opinione pubblica russa e a togliere voti sia a "Russia Unita" che al Partito Liberal Democratico.



Il leader comunista Zyuganov ha illustrato la politica del partito in una lunga intervista al quotidiano Kommersant  (della quale è disponibile una traduzione in spagnolo). Le ultime elezioni regionali hanno permesso al PC di ottenere risultati positivi in diverse regioni, battendo il partito di Putin. Quest'ultimo, secondo Zyuganov, è "la forza dell'inerzia, ma di una inerzia che perde forza". Il Fronte di Putin "difende gli interessi delle urbanizzazioni di lusso della strada Rubliovo-Uspienskoye". 


In caso di un loro successo elettorale i comunisti propongono un "programma di modernizzazione socialista" pubblicato con un'edizione speciale della Pravda diffusa in 5 milioni copie. E' un programma che "include 11 programmi settoriali e dieci direttrici capaci di assicurare uno sviluppo sicuro al paese. Un programma di misure anticrisi di piena attualità, dato che continuiamo ad essere immersi nella crisi globale che si registra nel mondo dal 2008." La gente comincia ad avere paura ed a chiudersi in sé stessa, denuncia Zyuganov, mentre i comunisti lottano "per l'unione della gente, per la capacità del popolo di manifestare la propria creatività, per l'aumento dell'autocoscienza, per la fiducia in un futuro migliore".


Il punto chiave del programma dei comunisti sono le nazionalizzazioni del "settore dell'industria estrattiva di materie prime ed una serie di settori strategici", ferrovie, rete elettrica, oleodotti, le comunicazioni e il "complesso militare-industriale"; "sono questi settori dove lo stato deve detenere il pacchetto di controllo e determinare le politiche". In risposta ad una domanda che accusa il PC di voler tornerà alla proprietà statale come nell'Unione Sovietica, Zyuganov risponde che "nell'URSS certamente il 96% della proprietà era statale e questo è totalmente errato. Quando eravamo nel Gosplan (ministero della pianificazione) fissavamo il prezzo di un panino a Erevan e questa era una stupidaggine. La completa statalizzazione di tutto quello che c'è è la causa della sconfitta dell'URSS e del PCUS, per questo il nostro programma riconosce che il settore privato possa partecipare in tutte le sfere della produzione".


Un posizione critica nel confronti del PC della Federazione Russa è sostenuta da un'altra organizzazione comunista la cui influenza è molto più limitata, il Partito Comunista Operaio Russo - Partito Rivoluzionario del Comunisti il quale ha costituito un "Fronte Rosso". Secondo quanto dichiarato dal segretario di questo partito, Viktor Tyulkin, la politica del PC di Zyuganov rappresenta "un classico movimento di opposizione democratica moderata, all'interno dei limiti del sistema esistente, nel quale la propaganda è principalmente rivolta al sentimento nazional-patriottico dell'opinione pubblica". Il Corpo dei Volontari promosso dal PC della Federazione Russa non ha un "sufficiente contenuto di classe". Il PC Operaio non è riconosciuto ufficialmente come partito titolato a presentarsi alle elezioni parlamentari e dalla intervista, pur con le decise differenze strategiche nel confronti del PC della Federazione Russa espresse da Tyulkin, sembra interessato a presentare propri candidati nelle sue liste, come già avvenuto in passato.