domenica 28 agosto 2011

La sinistra araba quasi interamente schierata con la rivolta anti-Gheddafi

Disegno tratto dal sito dell'FPLP
L'improvvisa caduta di Tripoli ha accelerato l'evoluzione della guerra civile libica e ha suscitato, come logico, numerosi commenti e prese di posizione nella sinistra internazionale, confermando però quella netta divaricazione di schieramento che ha attraversato le diverse componenti ideologiche. Differenze si erano registrate fin dall'inizio all'interno della sinistra europea, determinando un'articolazione di posizioni nel gruppo parlamentare europeo sul voto che in sostanza dava il via libera ad un intervento internazionale di imposizione della no-fly zone. 

Una parte della sinistra ha giudicato legittimo un intervento che impedisse al regime di Gheddafi di schiacciare con la forza la ribellione che aveva il suo centro nella città di Bengazi. Orientamento che, contrariamente alle polemiche strumentali alimentate in particolare dai comunisti greci, ha attraversato i diversi partiti e schieramenti e non attribuibile al Partito della Sinistra Europea, che ha invece preso nettamente posizione contro l'intervento militare. Tra i principali intellettuali dello schieramento antimperialista che hanno argomentato la legittimità di sostenere l'imposizione della no-fly zone va ricordato Gilbert Achcar, di origine libanese e per diversi anni, con lo pseudonimo di Salah Jaber, dirigente della Quarta Internazionale ed esperto di Medio Oriente.

Le prese di posizione contro l'estensione della guerra ed il possibile coinvolgimento diretto delle potenze occidentali con proprie forze militari sul terreno (ipotesi che era stata oggetto dell'allarme lanciato da Fidel Castro già all'inizio della rivolta) avevano determinato una larga convergenza, pur in assenza di  un significativo  movimento contro la guerra. Gli sviluppi degli ultimi giorni hanno invece riaperto una radicale divergenza nel giudizio sugli avvenimenti. 

La sinistra latino-americana, con in testa Hugo Chavez, ha via via assunto una linea sempre più favorevole a Gheddafi e ostile alla ribellione, considerata in pratica un semplice strumento al servizio delle politiche interventiste di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. La sinistra europea ha visto riemergere alcune delle differenze iniziali, con un appiattimento di una parte delle componenti più nettamente ostili alla guerra sulla difesa di fatto del regime di Gheddafi.

In questo quadro risulta interessante quanto emerge dall'esame delle posizioni della sinistra araba (comunista ed non), che si trova invece quasi interamente schierata dalla parte della rivolta e dichiara il proprio appoggio al popolo fratello libico per essere riuscito ad abbattere il tiranno. A mia conoscenza, l'unica forza significativa che si è schierata a sostegno di Gheddafi è quanto resta ed opera nella clandestinità del partito Baath iracheno di Saddam Hussein. Nessuna mobilitazione di piazza è avvenuta in Medio Oriente a sostegno del regime libico a conferma del discredito e dell'isolamento in cui si è collocato per le sue scelte avventuriste e opportuniste compiute nel corso degli anni, chi pure nei primi anni del regime si era proposto l'ambizioso obbiettivo di essere l'erede di Nasser quale alfiere dell'unità araba. 

Nemmeno quegli attori politici, non di sinistra, ma che si trovano in prima linea nello scontro con le potenze occidentali, come l'Hezbollah libanese o il governo iraniano, hanno sollevato una parola di difesa a favore di Gheddafi. Nonostante l'intervento occidentale, essi hanno considerato prioritario l'appoggio alla rivolta. 

Venendo al quadro delle forze di sinistra si possono richiamare le seguenti prese di posizione già disponibili sui rispettivi siti internet:

Partito Comunista Sudanese: i comunisti sudanesi hanno celebrato la "caduta del tiranno e la sua consegna al cestino della spazzatura della storia" e hanno rivolto calorose congratulazione all'eroico popolo libico, indicando come obbiettivo la costruzione di un regime democratico, che non rappresenti una continuità mascherata col passato. La posizione del PC Sudanese è sicuramente motivata anche dal ruolo che Gheddafi ebbe nel 1971, nel favorire un contro-colpo di stato di Nimeiri in Sudan che determinò una feroce repressione nei confronti dei comunisti. Il sito del PC Sudanese riporta una lettera di sostegno al popolo libico dei famigliari di Babiker Al-Nur Osman che fu per pochi giorni leader rivoluzionario del Sudan, vicino ai comunisti, ma al suo ritorno da Londra dove si trovava in esilio, venne intercettato dai militari libici e consegnato a Nimeiri che lo fece giustiziare.

Partito del Progresso e del Socialismo (Marocco): Il quotidiano del partito Albayane critica il governo algerino di Bouteflika per aver mantenuto un atteggiamento estremamente ambiguo nei confronti della ribellione e per non aver riconosciuto il Consiglio Nazionale di Transizione di Bengazi. Anche nel caso del Marocco pesa nei confronti di Gheddafi un contenzioso locale relativo al Sahara occidentale, occupato dal Marocco, ma che viene rivendicato come territorio marocchino anche da gran parte della sinistra. Al Bayane denuncia la presunta presenza di qualche centinaio di militanti del Fronte Polisario schierati a sostegno di Gheddafi, accusando la Libia di aver favorito questa presenza, dati i tradizionali rapporti esistenti tra sarahui e governo algerino.

Partito Comunista Operaio Tunisino: Il  PCOT, da poco diventato legale a seguito della caduta del regime di Ben Ali,  ha anch'esso salutato la caduta del tiranno Gheddafi. Oltre al sostegno al popolo libico e alla ribellione, il PCOT mette in guardia dalle intenzione neocoloniali della NATO e dell'Occidente.

Movimento Ettajdid (ex PC Tunisino). Anche l'altro principale partito della sinistra tunisina, l'Ettajdid, evoluzione post-comunista del PC filosovietico, ha salutato la vittoria della ribellione libica, passo necessario verso un percorso di democratizzazione.

Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP): la maggiore delle organizzazioni della sinistra radicale palestinese ha sostenuto dall'inizio la rivolta contro Gheddafi ed ha confermato anche in questi giorni, pur con un comunicato più misurato nei toni il proprio sostegno alla lotta dei libici contro la dittatura.

Front des Forces Socialistes (Algeria). in questa selezione rappresentativa di varie correnti è opportuno richiamare anche la presa di posizione dell'FFS, importante partito algerino, vicino alla socialdemocrazia internazionale, il cui comunicato pubblicato qualche giorno fa si intitola "la prossima caduta del regime di Gheddafi è una buona notizia per tutti i militanti della libertà e della democrazia nel mondo".

Forum Progressista del Bahrain: il Forum costituisce il fronte legale nel quale operano i comunisti e altri militanti di sinistra del Bahrain, impegnati in una battaglia democratica, che, in questo caso, non gode del sostegno della cosiddetta "comunità internazionale". In un comunicato del 24 agosto il Forum conferma il suo sostegno alla lotta dei popoli fratelli dello Yemen, della Siria e della Libia contro la sanguinosa repressione messa in atto dai rispettivi regimi.

Non è detto ovviamente che la posizione della sinistra e dei comunisti arabi sulla vicenda libica, sia necessariamente corretta, credo però che sarebbe utile dal punto di vista della sinistra europea e internazionale confrontarsi con queste posizioni e capirne le ragioni, che invece vengono in larga misura ignorate e censurate. Questo confronto non impedirebbe alla sinistra europea prese di posizione nette contro gli appetiti neocoloniali dei propri Paesi, ma avrebbe favorito la ricerca di una più larga una convergenza e di una minima unità d'azione della sinistra internazionale ed in particolare tra quella europea e mediorientale.

Ps. per leggere i testi in arabo ho utilizzato il traduttore automatico di Google in inglese, in quanto quello in italiano, pur disponibile, è meno preciso.

mercoledì 24 agosto 2011

La crisi spagnola e la posizione di Izquierda Unida

La crisi economica spagnola si è aggravata e si è trasformata in una crisi politica che ha già causato la fine del ciclo politico aperto con l'elezione del leader socialista Zapatero, la convocazione di elezioni anticipate e il probabile ritorno della destra al governo del Paese. Un fatto politico nuovo è stato l'irruzione sulla scena del movimento degli "indignati" che ha occupato le piazze delle principali città spagnole con la rivendicazione di una "vera democrazia" e di un mutamento delle politiche sociali neoliberiste che sono la causa dell'attuale crisi.

In questa situazione che presenta elementi di novità ma anche di permanente difficoltà e debolezza dei movimenti di lotta, Izquierda Unida, la coalizione della sinistra anticapitalista di cui fa parte il Partito Comunista Spagnolo, cerca di uscire dalla crisi che l'ha travagliata profondamente negli ultimi anni.



Il suo leader Cayo Lara, militante comunista, ha cercato di ricollocarla su un versante di maggiore conflittualità politica e sociale dopo una periodo nel quale è sembrata appiattirsi troppo sul Partito Socialista. Inoltre ha lavorato per superare la continua conflittualità interna che aveva portato a laceranti contrapposizioni minandone la credibilità esterna, soprattutto nei confronti dei movimenti di lotta politica e sociale. Con il consenso di quasi il 90% della Presidenza Esecutiva Federale di IU, Cayo Lara è stato nominato candidato della coalizione alla Presidenza del Governo nella prossima scadenza elettorale.


Il punto di vista di IU sull'attuale situazione è stato illustrato da Cayo Lara in un'ampia intervista rilasciata al mensile del Partito Comunista, Mundo Obrero. Innanzitutto, Lara ha espresso una valutazione moderatamente positiva delle recenti elezioni amministrative che hanno fatto registrare una crescita di circa 200.000 voti da parte della coalizione di sinistra, anche se questo rappresenta un recupero molto parziale del milione e mezzo di voti persi dai socialisti del PSOE. Il dopo elezioni è stato animato da una polemica sollevata dai socialisti e largamente ripresa dai media a loro vicini, sui mancati accordi tra IU e PSOE nelle amministrazioni locali che hanno aperto la strada al Partito popolare. Lara ricorda che si è trattato di situazioni marginali non superiori a quelle nelle quali lo stesso PSOE ha realizzato accordi con la destra quando invece poteva scegliere la strada dell'alleanza a sinistra.


Questa polemica largamente infondata, denuncia Lara, è stata sollevata dai socialisti in funzione della prossima campagna elettorale e ricorda quella lanciata anni fa sulla cosiddetta "pinza", che ebbe come protagonista soprattutto il quotidiano El Pais (equivalente spagnolo della nostra Repubblica), ovvero una presunta convergenza tra sinistra e Partito popolare in funzione anti-socialista. Va detto che in quel caso la stessa politica di IU, non priva di cadute nel settarismo, lascio un certo spazio all'offensiva mediatica dei media del gruppo PRISA, che ai socialisti dell'allora primo ministro Felipe Gonzales era molto vicino. Naturalmente l'obbiettivo è di far scattare in funzione anti IU, il meccanismo del cosiddetto "voto utile".

Nella sua intervista Cayo Lara, oltre a smentire l'esistenza di questa convergenza con la destra denuncia semmai che è il PSOE a perseguire di fatto una politica economica e sociale di impronta neo-liberista largamente convergente con quella della destra, sia in Spagna che a livello europeo. Così come, denuncia Izquierda Unida, la convergenza tra socialisti e destra nel mantenere un sistema elettorale che discrimina fortemente la sinistra, riducendone drasticamente la rappresentanza parlamentare, ridotta a due soli parlamentari, quando un sistema di tipo proporzionale non artificialmente alterato garantirebbe con gli stessi voti 14 parlamentari. Come avviene in Italia, IU viene esclusa aprioristicamente anche dai grandi mezzi di comunicazione, impedendole così di far arrivare il proprio messaggio ai cittadini.

Per quanto riguarda il "movimento 15M", ovvero degli "indignati", Cayo Lara ricorda che i suoi obbiettivi sono largamente convergenti con quelli di Izquierda unida e che militanti di IU sono impegnati al suo interno. Esistono però anche problemi di rapporti in quanto una parte del "movimento 15M" tende a criticare indistintamente tutte le forze politiche, e questo ha portato a delle difficoltà, in alcune situazioni, anche nella comune battaglia per difendere coloro che che sono vittime di sfratto. Una condizione che per effetto della crisi riguarda un numero crescente di persone.

Un gruppo di personalità ed intellettuali spagnoli, tra cui Baltazar Garzon, Pedro Almodovar, Almudena Grandes, e Pilar Bardem, ha diffuso recentemente un appello per una "Nuova Sinistra". Si tratta di un testo molto breve e abbastanza generico che rivendica la necessità di "ricostruire il presente della sinistra". Se è evidente la critica al PSOE per aver abbandonato contenuti e idee della sinistra, dall'altra però si ritiene insufficiente anche l'attuale sinistra alternativa e quindi lo stesso ruolo di Izquierda Unida. Ai contenuti dell'appello Cayo Lara contrappone il ruolo di Izquierda Unida quale movimento politico e sociale che può raggruppare tutta la gente che abbia una sensibilità di sinistra e che voglia  contribuire a forgiare un movimento anticapitalista. IU può convergere con tutti coloro che aspirano a lavorare per una alternativa di sinistra alle politiche neoliberali che hanno abbracciato tanto il PSOE che il PP. 

Il processo unitario, precisa Cayo Lara, può persò solo avvenire dal basso verso l'alto avendo come priorità il confronto nella società. Con questo obbiettivo IU ha promosso una "Convocatoria Social", definita come "processo partecipativo per un nuovo programma politico di sinistra".

lunedì 22 agosto 2011

Gli interrogativi cinesi sul futuro della Libia

La guerra civile libica sembra arrivata ormai ad un punto decisivo di svolta con l'ingresso delle forze ribelli nella capitale, l'arresto dei figli di Gheddafi e la resa senza combattere di alcuni reparti considerati i punti di forza militare del regime. Il conflitto, che già nelle prime settimane sembrava destinato ad una rapida soluzione, potrebbe trascinarsi ancora, aumentando il numero delle vittime e rischiando di lasciare un solco più profondo nella società libica, rendendo in tal modo più difficile la ricostruzione e l'uscita dalla crisi con un assetto più democratico ed anche, si spera, socialmente giusto, senza lasciare spazio ad ingerenze dall'esterno.

La posizione cinese su tutta la vicenda è stata netta su alcuni aspetti ma anche estremamente prudente. La Cina aveva stretti legami con la Libia, tanto è vero che ha dovuto nel giro  di poche settimane, se non di pochi giorni, evacuare alcune decine di migliaia di cinesi che lavoravano a diversi progetti economici. Nel Consiglio di sicurezza dell'ONU i cinesi, con la loro astensione, hanno permesso di fatto l'intervento militare occidentale, ma hanno anche cercato di definirne i limiti, affinché non diventasse una vera e propria invasione del Paese (per la quale a dire il vero esistevano molte remore anche nei governi che hanno dato il via all'intervento militare, in primo luogo negli Stati uniti). Hanno anche contestato quella che hanno ritenuto essere una forzatura nell'interpretazione della risoluzione del'ONU da parte di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, nell'andare oltre alla asserita volontà di intervento di protezione della popolazione di Bengazi dalla possibile azione militare delle forze del regime, per diventare un'azione militare di sostegno alla ribellione per cacciare Gheddafi e quindi effettuare un cambio di regime.

La Cina continua ad attenersi ad una visione della politica internazionale e dell'azione dell'ONU, nella quale resti saldo il principio della non ingerenza negli affari interni degli Stati. La prudenza e l'equilibrio dei cinesi nella vicenda libica si sono però dimostrati anche nella decisione di riconoscere il Consiglio nazionale di transizione, formato dai ribelli a Bengazi, come interlocutore politico necessario, pur senza arrivare, giustamente visto i dubbi sulla effettiva rappresentatività di questo organismo, ad un riconoscimento formale in qualità di autentico rappresentante del popolo libico.

Il Quotidiano del popolo, organo ufficiale del Partito Comunista, interviene questa mattina con un primo editoriale sulla improvvisa evoluzione della situazione in Libia, puntando l'accento soprattutto sulle incertezze del futuro e rimarcando le critiche alle potenze occidentali interventiste. 

"Durante i sei mesi della guerra, ci sono state opportunità per una soluzione politica della crisi, ma queste non si sono realizzate, in larga parte a causa della risoluta volontà dell'Occidente di far cadere il regime dell'uomo forte (ndr. Gheddafi). Questo atteggiamento ha reso il conflitto ancora più sanguinoso." L'editorialista ricorda che la guerra civile avrebbe già causato 25.000 morti.

Per quanto riguarda il futuro, continua l'editorialista, "ci sono crescenti preoccupazioni che la Libia possa diventare il prossimo Afghanistan. Conflitti etnici interni e tendenze religiose estreme non scompariranno con Gheddafi. La possibilità che il nuovo governo sostenuto dalla NATO sia altrettanto debole del governo centrale afghano preoccupa molti osservatori. Se una simile guerra civile si estendesse ad altri Paesi arabi, sarebbe un assoluto disastro. Nel mondo moderno i disordini di un paese si estendono ad altre zone"

Per quando riguarda il futuro del dittatore libico, l'editorialista suggerisce che "forse Gheddafi dovrebbe scegliere di fare un passo indietro volontario, evitando un'ulteriore tragedia. Ma il mondo dovrebbe creare le giuste condizioni perché ciò avvenga."

sabato 20 agosto 2011

Raul Castro all'Assemblea nazionale cubana: "Il peggior nemico non è l'imperialismo, sono i nostri errori"

Ai primi di agosto si è riunita l'Assemblea nazionale cubana, per approvare il progetto di radicale ristrutturazione del sistema economico, già deciso dal Congresso del Partito Comunista Cubano tenutosi lo scorso aprile. Il Parlamento cubano è dotato di scarsi poteri ed ha una limitata funzione consultiva. Si riunisce due volte all'anno per pochi giorni, e questa di agosto è stata la prima convocazione dell'assemblea dopo quella tenuta nel dicembre 2010.

Le conclusioni sono state tratte da Raul Castro il quale ha tenuto un discorso breve ma che contiene diversi spunti interessanti che vale la pena di rilevare per capire come si sta muovendo il gruppo dirigente e quali ostacoli incontra. Castro non ha ripreso i contenuti della riforma economica già ampiamente illustrati ai parlamentari, ma dal suo intervento possono essere enucleati quattro punti.

Il primo riguarda l'andamento congiunturale dell'economia cubana. I dati del primo semestre sono moderatamente positivi in quanto fanno registrare una crescita del Prodotto Interno lordo dell'1,9%. La previsione è che alla fine dell'anno l'economia cresca complessivamente del 2,9%. Questo dato va considerato alla luce della crisi economica internazionale che ha ricadute anche sulla realtà cubana. Inoltre Cuba paga negativamente l'aumento generalizzato a livello mondiale dei prodotti alimentari, che l'isola continua ad importare in grande quantità, data l'enorme difficoltà che si registra ad espandere l'agricoltura nonostante gli interventi di liberalizzazione dell'iniziativa individuale già avviati da tempo e che dovranno essere consolidati con la riforma economica decisa nei mesi scorsi.

Il secondo punto riguarda la riaffermazione della volontà di procedere alla ristrutturazione del'economia superando gli ostacoli frapposti da una parte della burocrazia. Castro ha usato parole dure tacciando settori dell'apparato del partito e dello stato ai vari livelli di inerzia, immobilismo, doppia morale, ecc. Nei confronti di questi comportamenti che violano la legalità il segretario del partito comunista ha minacciato il ricorso ai tribunali, anche se si è detto sempre favorevole ad utilizzare innanzitutto gli strumenti del confronto e del consenso. Mano dura quindi contro le resistenze burocratiche ma ci si deve chiedere se queste siano solo legate alla difesa di interessi personali o non siano anche in certi casi l'espressione di un malessere e di una preoccupazioni più ampi nei confronti del processo di riforma economica.

Il terzo e il quarto punto che mi sento di sottolineare dal discorso di Raul Castro, toccano due temi diversi, ma si pongono entrambi l'obbiettivo di mantenere o ampliare il consenso di settori importanti della società cubana.

Castro ha citato il caso di una iscritta al Partito Comunista Cubano, apertamente credente praticante, che è stata discriminata sul lavoro dai superiori proprio a causa di questa dichiarata inclinazione religiosa. Raul ha ricordato espressamente che un simile comportamento discriminatorio è vietato dalla legge e non può più essere accettato. Le istanze superiori del partito, venute a conoscenza dell'azione discriminatoria, sono intervenute a tutela della militante comunista. Aver voluto dare tanto rilievo a questa vicenda è indubbiamente un segnale rivolto più in generale al mondo cattolico di una volontà di apertura e di dialogo da parte della leadership cubana.

Infine, Raul Castro ha annunciato un cambiamento nelle politiche relative all'immigrazione. Per molto tempo chi voleva emigrare era considerato per ciò stesso un nemico del socialismo e questo aveva ricadute negative sugli interessati, ma metteva in difficoltà amici e parenti che volevano mantenere legami con chi se ne era andato dall'isola. Castro ha messo in evidenza che gran parte dell'emigrazione non ha motivazioni politiche, nonostante la strumentalizzazione che in tal senso è stata fatta soprattutto dagli Stati Uniti, ma prevalenti ragioni economiche, analogamente a quanto avviene per tanti altri paesi dell'America latina. I cambiamenti non sono stati indicati in maniera precisa, ma anche in questo caso si tratta di un segnale di apertura e di tolleranza rivolto ad un settore della popolazione che vede nell'emigrazione una possibilità di miglioramento delle prospettive economiche, ma che per questo motivo non deve essere considerato un oppositore.

Il senso dell'Assemblea nazionale è che il percorso di rinnovamento sta procedendo e Raul Castro sta dimostrando di avere la determinazione per portarlo avanti, molti però sono i problemi e gli ostacoli e quindi, va detto con chiarezza, l'esito non è affatto scontato.

giovedì 18 agosto 2011

I comunisti libanesi si schierano con l’opposizione democratica siriana


L’ufficio politico del Partito Comunista libanese ha pubblicato il 13 agosto scorso un comunicato nel quale prende posizione sulla crisi che sta sconvolgendo la Siria. Questo documento presenta diversi motivi di interesse: in primo luogo interviene in una fase di marcata differenziazione all’interno della sinistra internazionale sulla posizione da assumere nei confronti del movimento di protesta e della politica repressiva del regime siriano; in secondo luogo proviene da un paese che ha un rapporto stretto con la Siria, nel bene e nel male, per cui gli equilibri nel paese vicino possono avere importanti ricadute sulla situazione politica siriana; in terzo luogo proviene da un partito comunista che si pone da qualche tempo come possibile catalizzatore della sinistra araba, non solo di orientamento comunista, e che negli ultimi anni ha rafforzato la propria presenza organizzativa ed elettorale nel Paese dei cedri.

Il Partito Comunista Libanese “denuncia la tendenza sanguinosa presa dagli avvenimenti in Siria. Il cerchio di violenza si è allargato a numerose regioni siriane di fronte ad un movimento popolare che rivendica delle riforme democratiche in seno al regime.” La spirale di violenza è attribuita al comportamento delle forze di sicurezza del regime ed a “orde armate”. Questo indebolisce la volontà del dialogo che avrebbe dovuto dare risposta alle richieste del popolo siriano sia sul piano del “cambiamento democratico, in primo luogo la soppressione dell’articolo 8 della Costituzione” (ndr che riconosce il ruolo dominante del Partito Baath), sia sul piano socio-economico, in quanto le nuove politiche economiche seguite dal regime “hanno instaurato la corruzione ed un impoverimento generalizzato, poiché l’80% della popolazione si trova al di sotto della soglia di povertà”.

La lentezza, ingiustificata con la quale il regime procede a realizzare quelle riforme che pure ha esso stesso considerato necessarie, oltre ad indebolire il movimento popolare, rafforza la possibilità di intromissione da parte “dell’imperialismo e del sionismo” che vogliono destabilizzare la Siria “a partire dall’intervento militare degli Stati Uniti e della Nato”.

Il Partito Comunista Libanese “riafferma il suo appoggio incondizionato all’opposizione nazionale e democratica siriana che agita lo slogan della creazione di uno Stato civile democratico". Questa opposizione è la sola capace di garantire l’unità nazionale. D’altra parte denuncia la campagna orchestrata da certi paesi arabi, infeudati agli Stato Uniti.

Il Partito, infine, approva, la decisione del governo libanese, in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ma mette in guardia contro il tentativo di alcune forze politiche libanese di implicare il Libano nel conflitto siriano a favore dell’una o dell’altra parte. Il comunicato si conclude con un richiamo a tutti i comunisti ad attenersi alle decisioni prese dagli organismi dirigenti e questo lascia intendere che vi siano all’interno del partiti orientamenti diversi.

Nella sua sinteticità questo comunicato prende posizione in modo chiaro e condivisibile su una serie di punti fondamentali. Il movimento non nasce da un complotto straniero ma da una genuina protesta popolare che rivendica obbiettivi democratici e ha trovato alimento anche dalle difficili condizioni economiche in cui versa gran parte della popolazione.

E' in atto un intervento dall'esterno nella crisi siriana da parte degli stati arabi reazionari e dell'Occidente che potrebbe portare anche ad un intervento militare, ma questo pericolo è accresciuto dall'atteggiamento repressivo del regime e dal suo rifiuto di procedere a riforme democratiche in modo celere. La più importante delle riforme democratiche da mettere in atto è la rimozione del ruolo dominante del Baath dalla Costituzione.

L'appoggio politico va rivolto all'opposizione nazionale e democratica (anche se non ben identificata nel testo), l'unica in grado di evitare una spirale di violenza ed un indebolimento del ruolo della Siria sullo scenario mediorientale.

Infine, ultima notazione, il richiamo esplicito al rispetto dell'orientamento contenuto nel documento dell'Ufficio politico, sembra indicare la presenza di aree di dissenso nel partito, anche se non è chiaro in quale direzione esse vadano.

Franco Ferrari

mercoledì 17 agosto 2011

Primarie per le elezioni presidenziali in Argentina

Si sono tenute il 14 agosto le primarie ufficiali per verificare i partiti che potranno partecipare alle elezioni presidenziali d'autunno in Argentina. I risultati indicano un notevole successo del Frente de la Victoria di Christina Fernandez de Kirchner. 
Il Partito Comunista Argentino ha sostenuto la Kirchner nell'ambito della coalizione progressista "Nuevo Encuentro", che dipone di tre parlamentari e ha buoni rapporti sia con settori del movimento cooperativo che con la confederazione sindacale CTA. Anche il PC (Congresso straordinario), scissione della tendenza più rigidamente filosovietica del PCA sotiene la Kirchner. 
I gruppi trotskisti, da sempre particolarmente attivi in Argentina e con una buona presenza militante, tradizionalmente litigiosi, si sono uniti questa volta nel sostenere la candidatura di José Altamira, uno dei leader storici del trotskismo argentino, che ha ottenuto il 2,5% e quindi potrà presentarsi alle presidenziali. Altamira è l'alleato di Ferrando nel trotskismo internazionale.
Pesante sconfitta invece per il Proyecto Sur, il movimento progressista animato dal regista Pino Solanas, che non ha raggiunto la soglia minima per essere presente tra i candidati delle elezioni presidenziali.